di Brunetto Salvarani – Direttore CEM Mondialità
Riportiamo l’editoriale di Brunetto Salvarani, direttore di CEM Mondialità che anticipa il lancio della Campagna Dudal am (Co-educazione per la pace) che verrà lanciata congiuntamente con il Comitato Enndàm di Piossasco in occasione el 47° Convegno Nazionale CEM Mondialità (Viterbo, 25-29 agosto).
Pasqua significa passaggio. Il passaggio pasquale, quest’anno, per CEM è stato ancor più ricco del solito, perché siamo passati dall’Europa all’Africa, in particolare al Burkina Faso. Insieme ad un gruppetto di amici ed amiche del CEM (Chiara, Clelia, Laura, Patrizia C., Rita, Sigrid, più padre Nicola, direttore di Missione Oggi), del Comitato ENNDAM (Adriano, sua moglie Rosina e Daniele) e della ONG LVIA (Riccardo), questi ultimi due soggetti hanno da tempo intrapreso dei progetti di cooperazione decentrata in quel paese, eravamo stati invitati dal vescovo di Dori monsignor Joachim Ouédraogo, classe ‘62, che ci aveva visitato a Brescia lo scorso anno in uno dei suoi non infrequenti viaggi in Italia.
Siamo stati lì, nel cuore della regione del Sahel, condividendo per sei giorni la vita di quella gente tanto povera quanto ospitale.(…) Del nostro viaggio, breve quanto intenso, difficile parlare, ancora a caldo; anzi, verrebbe da dar retta a quell’antico adagio del viaggiatore che, entusiasta per una meta raggiunta, la prima volta vorrebbe farne un libro, la seconda un articolo e la terza… si rende conto che, per ora, è più saggio scegliere il silenzio. In attesa di tempi più propizi. Eppure, da ignorante di Africa qual sono, in missione per la prima volta in un paese a me sconosciuto e consapevole dei rischi che corre in tali casi il neofita, sento il profondo bisogno di cominciare a
condividere alcune delle sensazioni che ho provato: soprattutto per ringraziare delle testimonianze ricevute, i tanti incontri, i progetti messi in cantiere.
Il Sahel, la regione più povera del terz’ultimo paese per PIL del mondo, è infatti teatro di un piccolo miracolo, l’esistenza di un’organizzazione, l’Union Fraternelle des Croyants (UFC), che da un quarantennio rappresenta la smentita diretta di ogni sentenza sull’inevitabile scontro di civiltà fra cristiani e musulmani: più che tramite discorsi e teorizzazioni, mediante opere concrete, azioni vissute. Abbiamo visitato alcune opere realizzate dall’UFC, gli impianti idraulici nel deserto, le esperienze di sovranità alimentare, gli sforzi sulla scolarizzazione, i servizi per handicappati, le forme cooperative di artigianato locale, la faticosa progettazione di città pulite, spesso facendosi largo in un quadro sociale scarsamente istituzionalizzato.
Abbiamo incontrato preti e imam, ministri e sindaci, intellettuali e tecnici, che ci hanno fornito la misura di cosa significhi provare a uscire dal colonialismo (il Burkina, ex Alto Volta, si è reso indipendente dalla Francia quasi nel ‘60), ma soprattutto da una mentalità da colonizzati. Siamo stati accolti dalla gente nelle sue abitazioni, dignitose pur se fatte di fango pressato e sempre a rischio di inondazioni nella stagione delle piogge, e abbiamo partecipato a feste di battesimo in cui si è toccata con mano la serietà di una scelta non comoda né scontata. Abbiamo giocato coi bambini, ballando con loro, e sperimentato il dialogo di vita fra cristiani e musulmani, la cordialità sincera dei loro rapporti.
Ponendo le basi, mi auguro, per una collaborazione proficua in vista della costruzione del Centro Dudal Jam, per il quale fra pochi mesi lanceremo una campagna a livello nazionale. È, questo, l’attuale sogno del vescovo Joachim, che ce ne ha parlato con accenti di viva speranza, ma anche con giusto realismo: cercando di soppesare bene problemi e necessità. Da parte nostra, eravamo andati – da esperti di educazione e formazione – per valutare l’effettiva fattibilità del Centro, anche se, molte volte, ci siamo ripetuti negli incontri fra noi: «Ma qui c’è più da imparare che da insegnare!». Una frase che, nel trascorrere dei giorni, è divenuta uno slogan, con cui misurarci… L’ultimo saluto riservatoci dal vescovo, prima di lasciarci, è in grado di racchiudere, in una metafora lampante soprattutto per chi conosce la fame, la gioia di aver incontrato fratelli e sorelle con cui ci si accinge a compiere un tragitto: «Quando hai la bocca piena di farina, non riesci a parlare». E a me, ora, viene da aggiungere solo: Fofo, Sahel!
Vale a dire, grazie, Sahel!