Guerra e cibo – Azioni urgenti di risposta alla crisi e per non perdere la bussola dell’agroecologia e della sovranità alimentare

Autore Italo Rizzi

«I conflitti continuano ad essere un fattore chiave dell’insicurezza alimentare», era scritto nel Report Globale sull’Insicurezza Alimentare già prima che il conflitto Russo-Ucraino si dispiegasse con tutte le sue drammatiche conseguenze. Questa guerra è un enorme masso caduto nello stagno della Terra, che con cerchi concentrici propaga la sua furia sulla popolazione innocente dell’Ucraina e sulla popolazione di moltissimi Paesi, con grave impatto per le comunità dei Paesi più fragili. La guerra s’innesta sulle conseguenze della pandemia da Covid-19 che avevano evidenziato le criticità delle filiere globali, determinato il rincaro delle materie prime a cui è seguito un peggioramento della sicurezza alimentare che subisce ora una pericolosa accelerazione.

La peculiarità di questa guerra è che coinvolge Russia e Ucraina, uno dei granai del mondo, da cui provengono il 34% del grano, il 27% dell’orzo, il 18% del mais, nonché ben il 73% dell’olio di girasole (dati 2018-2020 International Food Policy Research Institute), prodotti che dai porti del Mar Nero raggiungono molti Paesi del Mediterraneo, del Medio Oriente e dell’Africa subsahariana. Inoltre, la Russia è tra i maggiori produttori mondiali di fertilizzanti potassici (17%) e azotati (15%). Lo shock delle filiere delle derrate agricole e dei fertilizzanti, nonché la crisi energetica legata alle sanzioni nei confronti della Russia e le evidenti limitazioni logistiche dovute alla guerra riducono la disponibilità di questi prodotti sui mercati, con effetto anche nel medio periodo. A livello di offerta globale bisogna aggiungere i divieti all’export decisi da alcuni Paesi quali Argentina e Ungheria. In questo scenario s’innestano dinamiche speculative che, unite all’aumento dei costi dei trasporti, spiegano la fiammata dei prezzi, con un rincaro, nell’ultimo mese, di oltre il 50% per molti prodotti agroalimentari. Purtroppo, per alcuni Paesi queste già pessime notizie si accompagnano a crisi regionali di produzione agricola: per rimanere nei Paesi di presenza LVIA, Etiopia e Kenya stanno affrontando la peggior siccità dal 1981 e con pessime previsioni nel breve periodo, con oltre 13 milioni di persone a rischio di fame nel Corno d’Africa (Report WFP, febbraio 2022). Anche in Mali, per l’anno 2022, si valuta che 3,6 milioni di persone, di cui oltre la metà sono bambini, necessiteranno di un’assistenza alimentare di emergenza.

L’aumento dei prezzi ha una diretta conseguenza sulla difficoltà di accesso agli alimenti da parte delle popolazioni vulnerabili in area rurale e negli strati sfavoriti della popolazione, anche nelle città africane e mediorientali. Non possiamo dimenticare che all’origine delle rivolte del 2010 e 2011, che hanno caratterizzato le Primavere Arabe e, più di recente, le rivolte in Sudan (2019), vi siano stati l’aumento dei prezzi del cibo e dei carburanti: le attuali tensioni sui prezzi dei beni alimentari aumentano i rischi d‘instabilità politica in vari Paesi. Ne consegue che siamo sicuramente di fronte a un’emergenza umanitaria nelle zone di conflitto, ma è essenziale mantenere alta l’attenzione su tutte le situazioni di elevata criticità economico-sociale-ambientale, specialmente in Africa.

Il rischio che si palesa è che, nonostante il Covid-19 e la guerra russo-ucraina abbiano dimostrato la fragilità di un sistema globalizzato di produzione e consumo, venga frettolosamente proposta, come soluzione, l’intensificazione produttiva (che necessita una più forte interconnessione delle filiere globali) con conseguenti coltivazioni ad alto livello d’impiego di energia fossile, di concimi e altri prodotti chimici, di OGM. Questa strategia, propugnata da vari  Paesi avanzati” e lobby agro-industriali, propone un arretramento delle politiche per la transizione ecologica opponendosi all’attuazione delle linee guida della cosiddetta “Farm to Fork” dell’Unione Europea, un piano decennale approvato nel 2020, che propone un modello produttivo che collega salute, ambiente, economia e tutela della biodiversità. Andare in questa direzione non risponde, inoltre, a quello che ci richiedono i Paesi africani attraverso la voce del presidente del Senegal Macky Salle, leader dell’Unione Africana (UA), che, durante il 35° vertice dell’UA, oltre a domandare meccanismi rinforzati di risposta alla crisi, ha chiesto un sostegno ai sistemi locali di produzione in una prospettiva di sovranità alimentare. Purtroppo, in questo contesto mondiale, l’inversione di rotta nel sostegno a sistemi più resilienti a shock economici, politici e ambientali provoca il rischio di un drammatico aumento della malnutrizione. Occorre dunque certamente mantenere risorse economiche adeguate per l’aiuto ai Paesi e alle popolazioni più fragili e che non devono assolutamente diminuire come invece si sta palesando per il Corno d’Africa o per il Sahel, ma anche adottare politiche e strumenti di protezione sociale, di riprogrammazione del debito e una moratoria all’impiego di biofuel, che fa impiego di derrate agricole per la trasformazione in energia.

La consapevolezza della complessità della sfida ci impone un salto di qualità nell’attività di advocacy nelle nostre reti della società civile in Italia, in Europa e globali nei confronti delle Istituzioni, per evitare ricette semplici e inefficaci come soluzioni a problemi complessi, e per riportare al centro una logica sistemica e concreta nell’affrontare i problemi della sicurezza e sovranità alimentare.

Italo Rizzi – Direttore Strategico Africa e Italia

 

Fonti

www.wfp.org/publications/global-report-food-crises-2021
www.ifpri.org/blog/how-will-russias-invasion-ukraine-affect-global-food-security
www.humanitarianresponse.info/sites/www.humanitarianresponse.info/files/documents/files/mli_hno_2022_mali_synthese_.pdf
www.slowfood.it/attacchi-contro-la-strategia-farm-to-fork
https://abcnews.go.com/International/wireStory/east-africas-hunger-crisis-global-action-oxfam-83600211