di Marco Alban
Quaggiù, precisamente in questo posto dove poche persone al mondo spenderebbero la propria luna di miele, certe cose accadono ancora come una volta, per noi anacronistiche e atavicamente famigliari al contempo. Siamo a 200 km di dune sabbiose dal primo squillo di telefono, dal primo interruttore elettrico, dal primo rubinetto d’acqua corrente. Le poche auto che si avventurano da queste parti lo fanno con spavalderia e presunzione tecnologica, ma la quantità di carcasse arrugginite, perse a vista d’avvoltoio nel deserto, sono un monito preciso per quanti vogliono sfidare l’infinita natura circostante.
Ci troviamo a 1.450 chilometri e a 3 giorni di viaggio in auto da Bamako, la capitale del paese. Gli antropologi paragonano la qualità della vita dei villaggi di queste zone a quella vissuta dai nostri antenati europei attorno all’anno Mille. Prendere un aereo per venire da queste parti, nel giro di qualche ora, vuol dire viaggiare, oltre che nello spazio, anche a ritroso nel tempo. Il presente di questi posti rispecchia fedelmente il nostro passato, un salto nella memoria per noi che veniamo da luoghi in cui tutto è drammaticamente scontato, pronto da scartare, angosciato da una delle povertà più terribili dell’umanità: la mancanza di tempo. Da queste parti, invece, di tempo ce n’è da vendere (e se solo si potesse esportarlo…) e sembra immobile, come l’istantanea di un presepe che immortala la vita della gente nelle proprie faccende quotidiane, le stesse da sempre.
Ci troviamo nel nord del Mali, a Bourem, una delle 3 province della Regione di Gao nella quale la LVIA interviene ormai da oltre 20 anni. Più precisamente, zoomando su quest’oceano di sabbie, si trova il comune di Téméra, al quale corrisponde l’omonima area sanitaria, in cui si svolge questo originale progetto – di cui provo a raccontarvi l’audace strategia – realizzato nel regno dei leggendari uomini blu del deserto: i Tuareg. In questa parte del mondo si partorisce per terra, su una stuoia adagiata sulla sabbia, sotto una tenda, molto spesso senz’acqua per lavare la partoriente e i cenci in cui avvolgere il neonato. In questa zona del mondo, una volta le popolazioni si curavano a base di erbe tradizionali, ma oggi la desertificazione sta “smantellando” queste farmacie a cielo aperto che erano i pascoli, le pianure alberate, la savana. In queste zone del mondo, in cui la luce lancinante trasforma il deserto in un ghiacciaio rovente, la gente è obbligata a percorrere a dorso di cammello o d’asino anche 30 o 50 chilometri per trovare une medico disponibile, una siringa sterile, una pastiglia palliativa.
Il progetto: garantire salute ai più lontani dei lontanissimi
È in questo contesto che dal 2004 implementiamo un progetto sanitario (uno dei più recenti in tutta l’Africa per quanto riguarda la LVIA) a favore delle popolazioni locali, le popolazioni nomadi, le più distanti, le più lontane da tutti i servizi di base in particolare dall’accesso al sistema sanitario. Questo progetto è condiviso principalmente con la fondazione UNIDEA, che ha voluto scommettere con noi sulla riuscita di una strategia tanto innovativa quanto originale, che rappresenta oggi l’unica strada esplorata e percorribile per raggiungere le popolazioni locali, quelle dimenticate dai radar delle cooperazione internazionale. L’idea è quella di portare, da una parte assistenza diretta alle popolazioni più lontane, dall’altra indurre queste ultime a riferirsi al sistema sanitario nazionale, sprovvisto di mezzi adeguati per servire capillarmente tutta la popolazione sparpagliata nel nord del Mali, un territorio desertico grande tre volte l’Italia (esattamente 878.613 km2) e che conta una densità di popolazione tra le più basse del mondo (1,23 abitanti per ogni chilometro quadrato secondo i dati forniti dal censimento del 2001). Uno dei problemi principali del nord Mali, come si è detto, è la sua vastità, la difficile accessibilità delle zone desertiche , le distanze che separano un centro abitato dall’altro, la mancanza assoluta di strade asfaltate e di piste percorribili tutto l’anno. Nel nord del Mali si possono percorrere centinaia di chilometri senza incontrare un’anima viva, per poi magari svoltare e imbattersi a sorpresa dietro il crinale di una duna, in un’oasi abitata, in un villaggio di pescatori lungo il fiume, in un accampamento nomade. Chi non è ancora abituato a viaggiare in questi posti spesso si chiede: ma cosa ci fanno qui queste persone, in questo apparente nulla? La risposta è molto semplice: qui ci sono nate, qui ci vivono ed è qui che moriranno. Per quanto ostile sia questa terra, è in questa terra che sono seppelliti i loro antenati, e un africano non abbandona mai la terra in cui si nutrono le proprie radici.
Jamgoye: l’idea della Radio Comunitaria auto-gestita
Ma come raggiungere in un simile contesto queste popolazioni, per la maggior parte nomadi e quindi in costante movimento? Come percorrere grandi distanze nel deserto, sicuri di trovare qualcuno ad aspettarci? Come far sapere a mamme e bambini che la settimana prossima l’equipe medica passerà per una campagna di prevenzione e vaccinazione?
Il progetto si è quindi da subito adoperato per portare una risposta a questo primordiale problema di comunicazione, installandouna radio comunitaria nella cittadinadi Téméra, in un locale messo a disposizione del Comune. Comunitaria significa che la radio è interamente gestita dalla popolazione, da un comitato nominato e formato a questo scopo. La radio è alimentata e funziona
grazie ad un sistema solare, e le onde si espandono in un raggio di circa 100 chilometri. Nei singoli villaggi e ai rappresentanti della popolazione nomade, sono state fornite delle radioline FM, e ogni comunità ha auto-organizzato, dietro la guida attenta degli animatori della LVIA, un comitato incaricat di ascoltare la radio quotidianamente, per poi divulgare i messaggi di sensibilizzazionea tutte le persone del villaggio e informare gli interessati dell’arrivo dell’equipe di progetto – composta da un medico specializzato in ecografia, alcuni infermieri e ostetriche.
Una fitta e complicata rete di comunicazione informale, che permette all’informazione di circolare ben oltre il limite imposto dalla tecnologia. Il nome della radio è stato estratto a sorte sotto una tenda pubblica, in una lotteria di proposte e in un guazzabuglio di opinioni, per non fare torto a nessuno. Poi, come spesso accade nella cultura locale, la fortuna di alcuni è la gioia di tutti, e il nome estratto non ha lasciato strascichi di polemica. La radio è stata battezzata Jamgoye, il nome tradizionale della zona prima che l’amministrazione coloniale francese la ribattezzasse chiamandola Téméra. La scelta è caduta non tanto per uno spiccato gusto anticoloniale quanto per ricordare, celebrare e rendere omaggio al vero senso di questa parola, che significa zona in cui le culture diverse coabitano in pace.
Questa notizia riguarda il progetto:
Paese
Mali
Settore