Nell’ambito della Cooperazione decentrata che lega i Comuni di Torino e di Ouagadougou, si svolge il progetto Professioni per la Città, mirato alla professionalizzazione di mestieri d’interesse pubblico.
Il progetto, che si svolge con la collaborazione e l’accompagnamento della LVIA, mette in contatto le expertise torinesi con le controparti ouagalesi nei settori: illuminazione pubblica, animazione dei giovani, grafica pubblicitaria.
In questo contesto, Silvia Leoni e Maurizio Lorenzatto della SFEP, la scuola per educatori della Città di Torino, hanno lavorato con il Servizio Gioventù della Città di Ouagadougou recandosi in missione in Burkina Faso nell’ottobre 2009. Di seguito, una loro testimonianza sull’esperienza
È facile arrivare a Ouagadougou ed essere sopraffatti dall’ansia.
L’aeroporto è fatiscente, il caldo torrido e soffocante, l’illuminazione scarsa e precaria.
Polvere rossa ovunque, poco personale e lunghe code senza che nessuno apparentemente si occupi di te. I bagagli vengono smistati a mano (a causa dell’ennesimo blackout) in una confusione indicibile. Siamo sudati fradici.
Appena fuori si viene assaliti da chi ti vuole portare le valigie da qualche parte nell’oscurità della sera. Pare strano perfino vedere un volto amico che è venuto a prenderti e sembra muoversi tranquillamente in quella bolgia infernale, pazza!
Quando siamo arrivati ci siamo sentiti perduti: mio Dio dove siamo finiti?
Nel tragitto fino all’albergo s’intravede poco più di un villaggio cresciuto a dismisura, con un traffico non regolato e un nugolo di bici e motorette che sfrecciano da ogni parte. Le paure si confondono: quante zanzare! E che sporcizia! Abbiamo sentito di uno che si è preso la malaria qui…
Il giudizio sembra esserti strappato a forza dalla situazione: siamo noi i civilizzati e loro i selvaggi.
Cercare una causa esterna è facile e rassicurante: non sono le nostre paure e i nostri pregiudizi che possono essere messi in discussione ma è sotto gli occhi di tutti l’evidenza dei fatti.
Sono proprio quegli occhi la metafora che ci condurrà a ribaltare completamente questo affrettato (seppur “normale”) giudizio e a soffrire una tremenda nostalgia al momento del ritorno a Torino.
I burkinabè (così sono chiamati gli abitanti del Burkina Faso) sono proprio tanto scuri e nel buio della notte (gran parte della città non è illuminata) i loro occhi spiccano come inquietanti fanali.
Quegli stessi occhi ci hanno guidato negli incontri dei giorni successivi con i funzionari pubblici, i politici, le associazioni e il territorio della capitale.
Quegli occhi ci hanno permesso di conoscere, ci hanno condotto a vedere, attraverso di loro, una realtà nuova e impensabile in precedenza.
Abbiamo conosciuto persone che all’inizio ci hanno detto cose strane. Marco (un italiano “trapiantato”) ha perfino sostenuto che Ouagadougou fosse il luogo migliore ove far crescere i suoi figli. Abbiamo pensato che non fosse del tutto “a posto”…
Paola (giovane stagista del Master dei Talenti e nostra accompagnatrice-interprete) ci ha detto di essere stata “adottata” dal suo anziano giardiniere, “ereditato” insieme alla casa presa in affitto per tutta la durata del tirocinio. Che siano ancora così evidenti gli strascichi del colonialismo?
L’avventura più strana è stata però conoscere Blaise, dirigente del servizio giovani, che sembrava comprendere bene i nostri discorsi e non solo, sembrava parlare un linguaggio così simile al nostro…
Dietro la squisita gentilezza dei suoi modi affabili, abbiamo subito intravisto le capacità del professionista che fronteggiava una situazione indubbiamente molto difficile con serenità e consapevolezza.
Ci ha un po’ presi per mano, condotti a conoscere la “sua città” e il suo lavoro senza mascherarsi, sentirsi superiore (né tantomeno inferiore) a noi.
Il nostro primo contributo è stato quello di “abbandonarci” a questa esperienza, di sospendere il giudizio (e le nostre paure) per vivere l’istante e le cose così come stavano avvenendo.
È stato un viaggio molto interessante, del quale dobbiamo essere grati anche a Paola e Marco (di cui abbiamo già detto) e Giselle. Questi ultimi due sono operatori dell’ONG Lvia, che si è occupata della mediazione culturale e della supervisione del complesso progetto di scambio-formazione tra il Comune di Torino e quello di Ouagadougou, che ci ha condotto in Burkina. Il ruolo di mediazione è stato condotto con tale delicatezza e competenza, che ci siamo sentiti veramente attori di un processo nel quale siamo stati in verità poco più che comparse.
Con il passare dei giorni abbiamo potuto appezzare alcune “piccole” qualità dei luoghi che stavamo visitando. Anche alla sera è possibile girare per la città piuttosto tranquillamente, visto il bassissimo indice di micro-criminalità e, in quelle ore, il clima diventa più sopportabile. Il fatto che non ci fosse la luce pubblica, inoltre, ci ha permesso di vedere le stelle e la luna, che in Africa sembra sorridere alla terra (scherzi della prospettiva).
La città stessa, caotica in alcuni punti, è in realtà molto tranquilla e “vivibile” in tutti gli altri.
L’ossessione per le attenzioni (e i riti) di tipo sanitario è via via scemata, trasformandosi in normale routine (abbiamo scoperto che non era strettamente necessario lavaci le mani con il disinfettante ad ogni piè sospinto e uccidere tutti gli insetti nell’arco di un miglio dalle nostre persone…).
I luoghi ci sono sembrati più “gradevoli” anche perché le persone che man mano abbiamo incontrato ci hanno insegnato a viverli diversamente: fare la spesa nei mercatini rionali e nelle bancarelle davanti a casa può essere divertente ed economico, i locali per turisti non sono per forza i migliori, anzi! Attendere non significa per forza perdere tempo e le scadenze possono essere vissute senza tutta l’ansia che solitamente da noi le accompagna.
Aspetti culturali e professionali si sono velocemente uniti permettendoci di essere persino propositivi in alcuni momenti.
Scambiare esperienze professionali è molto utile ma quest’utilità sembra diventare effettiva solo se si sanno cogliere la sfumature, se si è curiosi e si è capaci di chiedere con il dovuto rispetto e garbo. È anche necessario saper interpretare le risposte… Non ricordiamo comunque argomento che non sia stato possibile trattare: dalla condizione della donna e dell’infanzia al ruolo della gerarchia nel settore pubblico e privato, dal potere dei politici a quello delle associazioni giovanili.
Ci siamo trovati in difficoltà soprattutto nel rispondere onestamente alle domande e a rappresentare quanto più oggettivamente possibile la realtà torinese. A volte è più facile vedere gli altrui totem e tabù che non i propri e a volte si compiono azioni senza averne presenti tutti gli aspetti e tutte le motivazioni, per consuetudine. Quando una persona che non conosce quella consuetudine cerca di esplorarla, i suoi quesiti possono diventare imbarazzanti, non perché ingiustificati o scortesi, ma perché non si è in grado di fornire una risposta adeguata.
È proprio questa dimensione biunivoca dello scambio che può creare complicità tra i partecipanti e che ci ha permesso di fornire (forse) un piccolo contributo al progetto in atto. Soprattutto ci ha fatto capire che paradossalmente può non esservi differenza sostanziale tra un viaggio e un intervento in Burkina piuttosto che in Scozia.
Cooperare all’interno di progetti internazionali vuol dire saper prendere e saper dare, saper vedere con gli occhi degli altri e saper far vedere le cose con i propri. Saper riconoscere e valutare insieme prassi trasferibili ma soprattutto essere consapevoli dei tempi e della complessità dei processi socio-culturali. Concetti quali quelli di sviluppo locale e sostenibilità degli interventi possono essere assolutamente vuoti, se non riempiti con persone che compiono azioni concrete all’interno di contesti definiti, che sbagliano molto spesso ma che cercano di correggere i propri errori scambiandosi impressioni e suggerimenti.
Siamo ripartiti con il “groppo alla gola”…
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Questa notizia riguarda il progetto:
Paese
Burkina Faso
Settore
Cooeperazione decentrata; Sviluppo locale