Il ritorno è una scelta coraggiosa, più della partenza. E’ questa l’opinione diffusa tra molti dei più di 500 migranti intervistati nell’ambito del Progetto di reinserimento socioprofessionale dei migranti senegalesi di ritorno, finanziato dall’Aics e promosso da LVIA nella Regione di Thies, Senegal, in collaborazione
con l’Agenzia regionale per lo sviluppo, Caritas Thies e le associazioni della diaspora in Italia Sunugal e Cossan.
Entro agosto l’iniziativa darà la possibilità a circa 30 progetti presentati da singoli o da gruppi di migranti di ritorno nella Regione di Thies di ricevere un accompagnamento tecnico e finanziario per l’avvio o il consolidamento di start up, e a un numero più elevato di beneficiari di partecipare a cicli di formazione
e orientamento imprenditoriale. L’iniziativa punta ad avviare un dispositivo territoriale di accoglienza e sostegno dei migranti di ritorno che possa continuare a funzionare anche dopo questa fase sperimentale ed essere replicata in altre regioni del Senegal.
A lato: il video con i risultati del progetto e le storie di 3 migranti di ritorno
I migranti di ritorno, così definiti dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), sono coloro che dopo un periodo di vita all’estero decidono di tornare nel paese di origine con l’intenzione di rimanervi. Il numero dei ritorni spontanei non inquadrati in programmi istituzionali di rientro è difficile da quantificare, perché non esistono statistiche ufficiali né sistemi di registrazione.
Il Senegal, tuttavia, rappresenta sicuramente un buon punto di osservazione del fenomeno, in quanto la migrazione senegalese è caratterizzata dal mantenimento di forti legami familiari, sociali ed economici con il paese di origine.
Nella fase iniziale del progetto abbiamo conosciuto moltissimi emigrati che dall’Italia e da altri paesi hanno investito i propri risparmi in un progetto di business in Senegal avendo, oltre alla speranza di avviare un’attività redditizia, la certezza di poter vivere vicino alla famiglia. La crisi economica degli ultimi anni ha contribuito a rafforzare questo fenomeno: con un lavoro precario in Europa e le difficoltà di sostenere le spese si guarda con più concretezza alla possibilità del rientro.
Spesso il ritorno è preceduto da periodi di migrazione circolare in cui i migranti trascorrono solo alcuni mesi dell’anno nel paese di origine. È in questa fase che si decide se valga la pena tentare il ritorno e si inizia a preparare il terreno: si costruisce la casa e si avviano attività economiche per il lavoro futuro. La pressione sociale è forte e le aspettative verso chi è partito sono altissime.
Per molti migranti, la preoccupazione più grande è quella di tornare a mani vuote e senza un’attività che garantisca di poter vivere tranquilli dopo il ritorno. In questo contesto un requisito fondamentale per scegliere di tornare è il possesso di documenti che permettano di spostarsi liberamente e di ripartire
nel caso gli affari non vadano come previsto. “Ho cominciato a pensare al ritorno appena ottenuto il permesso di soggiorno a tempo indeterminato, prima sarebbe stato troppo difficile”, sono le considerazioni più frequenti raccolte tra Senegal e Italia.
Un requisito fondamentale per scegliere di tornare è il possesso di documenti che permettano di ripartire nel caso in cui gli affari non vadano come sperato.
Voci dal campo: i migranti di ritorno
Papa Ndiaga e Abdoul Niang sono due fratelli senegalesi che, dopo anni di esperienza in Mali, hanno deciso di avviare insieme a Sandiara, nel loro comune di origine, una fabbrica per la produzione di tubi in plastica riciclata utilizzati per il passaggio dei cavi elettrici nelle costruzioni.
“E’ questo che so fare ed ho imparato a fare in Mali, voglio provare a riportare questa esperienza nel mio paese”, ci ha raccontato Papa Ndiaga.
L’avvio non è facile, ma l’idea è innovativa e il mercato sembra dare buone speranze ai due fratelli, che come racconta lo stesso Abdoul, hanno vinto il premio giovani per l’innovazione della Regione di Thies: “Speriamo che possa darci visibilità e sensibilizzare l’amministrazione comunale a sostenere la nostra impresa”.
“Vorrei rimanere in Senegal a lavorare la terra che mi ha lasciato mio padre. Sono stanco di stare lontano dai miei cari ma ho bisogno di migliorare la produzione affinché la mia famiglia possa vivere tranquilla”.
Dethie Mbengue ha vissuto per anni in Toscana, lavorando nelle concerie del cuoio; un lavoro duro che ha permesso di mantenere la sua numerosa famiglia in Senegal. Lo abbiamo incontrato a Djender, a metà strada tra Thies e Dakar.
Ci racconta il suo progetto di vita e il desiderio di rientrare definitivamente nel suo paese di origine, dopo trent’anni trascorsi in Italia. Alla soglia dei sessant’anni, vuole rimanere vicino ai suoi figli e lavorare a contatto con la sua terra.
Habibatou Kane è da poco tornata a Thies dall’Italia con suo figlio di quattro anni. È una giovane imprenditrice che si occupa di importazione di abiti usati dall’Italia e vendita all’ingrosso per i commercianti della sua città.
“Ho bisogno di allargare il mio business e rinforzare le competenze dei miei collaboratori in gestione economica e marketing”, ci dice seduta nel suo magazzino di stoccaggio.
Ha lavorato in Italia fornendo cure agli anziani e come domestica. Adesso vuole ricostruirsi una vita tranquilla in Senegal con suo figlio.
Dopo un lungo soggiorno in Sicilia, Abdoul Mbacké e Ousseynou Babou hanno messo in pratica l’esperienza accumulata in ambito agricolo avviando un progetto agricolo nel loro villaggio di origine.
Abdoul ha chiaro il suo obiettivo: “Piano piano ci riusciremo, abbiamo tanta terra a disposizione e dobbiamo tentare di essere austosufficienti sull’approvvigionamento dell’acqua.
È il problema principale qui in Senegal, ma possiamo lavorare sul risparmio idrico con l’utilizzo di impianti goccia a goccia”.
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