Donne nell’agricoltura di mangrovie in Guinea-Bissau – L’esperienza di “Ianda Arrus”

Chiunque abbia la possibilità di inoltrarsi per i villaggi risicoli della Guinea-Bissau coglie subito l’ammirazione che la popolazione ha per il riso di produzione locale che, tra le etnie che la praticano (Balanta, Pepel e Nalú), è l’elemento identitario e il principale sostentamento. Ianda Guiné! Arrus fa parte di un programma sostenuto dall’Unione Europea in Guinea-Bissau per garantire, ai produttori del riso di mangrovia, un aumento del reddito familiare e la riduzione dell’insicurezza alimentare, con un focus sull’aumento sostenibile della produzione.

Attraverso tecniche sostenibili e dignitose aiuta gli agricoltori e le loro comunità a far fronte e ad adattarsi al cambiamento climatico, garantendo risorse alimentari ed economiche per le loro famiglie, in particolare per le donne e i giovani nelle zone rurali. Migliorare la produzione, la lavorazione e la conservazione del riso è una delle principali sfide del progetto che vuole contribuire all’aumento dei redditi e alla riduzione dell’insicurezza alimentare delle famiglie produttrici di riso. Il processo di lavorazione e conservazione del riso è la parte dove le donne sono maggiormente implicate. Ma le donne si sentono esauste e, se le condizioni per la coltivazione del riso non dovessero migliorare, le anziane dei villaggi credono che le giovani donne rinunceranno a dedicarsi alla risicoltura e si metteranno alla ricerca di altre attività più sicure e meno gravose.

La distribuzione del lavoro nelle risaie tra uomini e donne

In queste comunità la distribuzione del lavoro nella risicoltura prevede che sia agli uomini sia alle donne venga assegnato un ruolo definito. Questa distribuzione del lavoro non significa che ci sia uguaglianza nel controllo e nell’accesso alle risorse, né che sia garantita la partecipazione attiva alle decisioni che riguardano la comunità e la famiglia. Per esempio, il terreno agricolo appartiene al maschio della famiglia e il prodotto finale risultante dal lavoro collettivo è anche sotto il suo controllo.

Le donne del villaggio di Impasse, situato nel Nord del Paese nel settore di Encheia, ci raccontano in prima persona come sono organizzate e come vivono la loro situazione

«Le risaie e il riso appartengono al marito, è lui che prende le decisioni anche se le donne lavorano molto duramente nei lavori dei campi».

Tutte le donne del villaggio lavorano nella “bolanha” (risaia), comprese quelle incinte e anziane. Dall’età di 5/6 anni, anche i ragazzi e le ragazze iniziano a lavorare nelle risaie. I ragazzi con il ruolo di guardiani per evitare l ́invasione di animali, mentre le ragazze con le madri alla mondatura manuale. Il diserbo è compito delle donne, la semina e la lavorazione del terreno sono condivise tra uomini e donne, il taglio del riso è dovere degli uomini. Il trasporto del riso dalla risaia alla casa è responsabilità esclusiva delle donne e sono loro che puliscono il riso, liberandolo con la sbramatura, dai tegumenti che lo ricoprono. Dedicano circa 5 ore al giorno per pulire una ciotola di riso (dalle 7 del mattino alle 12). Per loro il lavoro più duro è il trasporto del riso dalla risaia alle case: pesanti sacchi in equilibrio sul capo e su distanze di oltre 1 km, provoca dolori al petto e difficoltà di respirazione di notte. Un percorso non privo di pericoli per le cadute nelle risaie e che causa molti infortuni.

Oltre al lavoro nei campi, le donne svolgono altre attività produttive come la pesca e l’orticoltura per integrare la dieta familiare e, quando possono, vendono il piccolo surplus della produzione ittica e orticola per coprire altre necessità domestiche come la scuola dei figli e le spese mediche. In questo settore si sentono più sicure e orgogliose, hanno la sensazione che il lavoro sia più leggero e la cosa più importante è che sono loro a prendere le decisioni sul loro reddito, senza dipendere dagli uomini.

Il Progetto Ianda Arrus

A qualche km di distanza, nel villaggio di Uncur, dove LVIA è intervenuta con la comunità del “riso di mangrovia”, le donne affermano con orgoglio che da molto tempo non sgranano più il riso a mano. In passato hanno ricevuto macchinari per la sbramatura che hanno reso la loro vita molto più facile e ora hanno tempo da dedicare ad altre attività. Prima di terminare la conversazione ci dicono con voce sommessa, in modo che gli uomini non sentano, che «se in futuro ci sarà la possibilità di avere più macchine per la trebbiatura e la decorticazione del riso e un veicolo per il loro trasporto, siccome da tradizione è il loro lavoro, sarebbe meglio che lo gestissero loro». Le donne più giovani hanno la volontà e l’energia per sfruttare nuove opportunità e avere altre prospettive nella vita.

 

La componente di lavorazione e stoccaggio del riso del progetto mira, in questo contesto, da un lato, ad alleviare lo sforzo fisico e a ridurre il carico di lavoro dedicato alla lavorazione del riso introducendo la meccanizzazione con una tecnologia adattata alle condizioni locali. Dall’altro, intende ridurre drasticamente le perdite post-raccolta, garantendo una migliore resa della produzione e consentendo alle famiglie di avere accesso a una maggiore disponibilità di cibo e un maggiore reddito economico.

Garantire la sostenibilità delle attività: la comunità come motore del proprio sviluppo.

Il team di progetto, consapevole di questo fatto, lavora affinché la comunità sia il motore del proprio sviluppo. È necessario accompagnare tutti gli agenti coinvolti nelle dinamiche che porteranno a questo cambiamento, il percorso di professionalizzazione del settore del riso a mangrovie. Rendere visibile e riconoscere il lavoro delle donne contadine, creare le condizioni per la partecipazione attiva delle donne ai processi decisionali che coinvolgono l’intera comunità e facilitare la parità di accesso alle risorse è alla base di come metodologicamente ed eticamente il progetto Ianda Arrus! si sviluppa. Accompagnare non dovrebbe mai significare insegnare, accompagnare non dovrebbe mai presupporre un giudicare, accompagnare non dovrebbe mai significare decidere il luogo e lo spazio che ciascuno dovrebbe occupare. Si tratta di una sfida trasversale ed essenziale perché gestire bene il processo di scambio, favorendo l’integrazione di tutti gli attori coinvolti, dovrebbe contribuire allo sviluppo sostenibile delle comunità rurali.