Autore: Silvia Bobba, servizio civile LVIA in Mozambico
Il mese scorso si è chiuso il progetto “Introduzione di tecnicas di compostaggio in agricoltura nel Distretto di Magude – Provincia di Maputo”. Il progetto é iniziato un anno fa ed è la continuazione di una prima esperienza portata avanti con la Caritas Diocesana di Maputo con l’appoggio finanziario della CAFOD (Caritas Inglese).
L’obiettivo principale del progetto era divulgare una tecnica semplice ed economica per produrre compost a partire dai residui organici. Il primo anno sono state coinvolte 6 attiviste del programma HIV-SIDA della Caritas Diocesana, con la supervisione di un tecnico agrario del Distretto. Il secondo anno, con l’intento di rinforzare le conoscenze acquisite e divulgare la tecnica, le 6 attiviste sono diventate formatrici ciascuna di altri 6-8 attivisti. L’esperienza ha dato buoni risultati: gli orti degli attivisti, molti dei quali sieropositivi, sono diventati piú produttivi, il suolo piú morbido, permeabile e resistente alle secche, che colpiscono periodicamente questa zone del paese.
Esattamente come un mese fa, quando ho messo piede per la prima volta a Maputo, non sapevo bene cosa aspettarmi: Katia, la Rappresentante Paese di LVIA in Mozambico, mi aveva spiegato il progetto, le motivazioni, le attività realizzate, i risultati ottenuti e le aspettative per il futuro; pensavo quindi di trovarmi in un contesto simile a quello che già avevo visitato in uno dei viaggi precedenti, ma ciò non toglie che non sapessi cosa aspettarmi.
Sveglia presto, strade vuote e lunghissime, spazi immensi (altro che nostre montagne cuneesi, ogni volta è la stessa sensazione) e poi l’entrata a Magude. Bellissima. La strada sfocia su un ponte costituito da un’unica corsia, che le macchine che vengono da entrembi i sensi devono condividere con il treno.
Arriviamo alla sede della Caritas Diocesana, il nostro partner a Magude. Da lontano si vede un circolo di sedie già pronte occupate quasi tutte da donne, avvolte nelle capulane, colorati parei di cotone onnipresenti e irrinunciabili che a seconda della necessità fungono da gonna, plaid, fascia per i neonati, copricapo per proteggersi dal sole. Prima dell’inizio ci viene offerta l’immancabile e generosa colazione a base di tè, pane e uova fritte. A quanto pare anche qui è una questione di benvenuto. L’atmosfera che si crea in questi momenti mi ha sempre colpita, forse perché si è ripetuta in quasi i tutti i luoghi che sono andata a visitare in Africa, e il fatto di essere in 2 o un gruppo di 20 persone non ha mai fatto differenza. Allo stesso tempo continua a spiazzarmi ogni volta; chissà, magari perché da noi è così diverso? Qui sembra essere un peccato non accettare.
Inizia la riunione. Non è la prima volta che non capisco niente di quello che si dice, ma mi piace sentire i suoni in Changana, la lingua locale parlata nel sud del Mozambico che, per quanto ci si possa sforzare, credo siano impossibili da imitare, osservare le espressioni e le posizioni dei partecipanti, assistere ed essere inclusa nel giro di presentazione che mette sempre in agitazione tutti, vedere come a poco a poco le persone si aggiungano: il cerchio di sedie non si allarga ma si riempie, la stuoia che al centro era distesa sulla terra battuta per far sedere una mamma con il bambino, comincia a riempirsi. Non è stranissimo? Ho pensato che se io arrivassi in ritardo, o comunque a evento iniziato, mi siederei per terra in un angolo, quasi sicuramente dietro gli altri e come me la maggior parte delle persone che conosco.
A questo punto ogni responsabile del gruppo deve illustrare all’assemblea la metodologia di produzione del compost e, per rendere maggiormente partecipata la presentazione, provare a convincere che il proprio prodotto è il migliore. Inizia la presentazione: i sorrisi timidi, Armindo, il Responsabile della Caritas Diocesana, che interpreta per noi quello che viene detto, le domande, le risposte, le risate, il cambio di presentazione e naturalmente i canti e i ringraziamenti. Per finire di nuovo il tutto come era cominciato: con il cibo.
Mentre si aspettava il pranzo, pensavo a come sarebbe stato diverso aspettare a casa, a quante mille altre cosette avrei trovato e potuto fare in quel tempo, a come da noi si consideri tempo perso, tempo sprecato. Forse è vero, forse abbiamo ragione noi a vivere ogni momento sfruttandolo il più possibile. Non so, non è una mia caratteristica aspettare, o per lo meno alcuni non mi considerano in grado di farlo senza fare o pensare ad altro, mal che vada leggo un libro, scrivo l’elenco delle cose che farò una volta finita l’attesa… ma al ritorno dai viaggi che ho fatto e dai due viaggi che ho accompagnato in Africa ho cominciato a chiedermi se questo riempire il tempo di cose da fare non sia a volte un voler evitare di pensare. È come se si avesse paura di lasciar libera la mente di riposare, perché è un po’ come sognare, come fai a capire cosa porterà? A volte non puoi controllarla.
Ed è sempre in questi momenti che ti vengono le idee più geniali, i pensieri più veri su quello che hai vissuto, su quello che sei, sul perché hai fatto questo o quest’altro, sul perché hai reagito così invece di cosà. Insomma, alla fine di quest’attesa, alla fine del pranzo, alla fine dell’ultima preghiera, alla fine della giornata ho ritrovato “l’importanza di andare avanti per piccoli traguardi, senza avere fretta, ma con un progetto grande in testa”, la soddisfazione nel vedere il moltiplicarsi delle persone coinvolte in un progetto in cui qualcuno ha creduto e che ora sono in tanti a portare avanti, la forza di chi è partito da zero per realizzarlo e che porta ancora una volta una ventata di novità e di entusiasmo. Credo che queste siano le cose che più mi hanno colpita della giornata.
È stato interessante capire cos’era il progetto, com’è nato, vedere i volti di coloro che l’hanno realizzato, implementato e che ora lo porteranno avanti, ma forse è stato ancora più bello poter partecipare, poter vedere una fase di qualcosa che sulla carta è finito ma che a partire da sei persone ne sta coinvolgendo ogni giorno di più, vedere che la gente ci crede, che partecipa e diffonde le conoscenze acquisite, e soprattutto che chi ha concluso il progetto ne ha già in testa un altro, che ancora non ha scritto, che ancora non ha pensato nel dettaglio e forse nemmeno riuscirà a realizzare, ma alla cerimonia conclusiva di un evento credo che questa sia la cosa più stimolante ed importante per il futuro.
Nel Distretto di Magude sono frequenti periodi di secca e la rete idrica pubblica soffre spesso avarie e interruzioni nella fornitura di acqua. Le donne sono costrette quindi a percorrere grandi distanze a piedi con secchi di plastica sulle teste per poter cucinare e garantire igiene alle proprie famiglie. Nell’ambito del progetto di rafforzamento delle competenze sul compostaggio, sono stati acquisiti 6 contenitori innovativi con capacità di 50 l innovativi che possono essere trasportati rotolandoli con l’ausilio di una corda. Questo metodo semplice ma efficace è un brevetto di una ditta Sudafricana (www.qdrum.co.za) ed è stato accolto con molta allegria canti e danze dai nostri attivisti di Magude. |