di Sigrid Loos
pubblicato su CEM Mondialità, dicembre 2008
«Avancez, avancez!». Sono le parole chiave di un viaggio breve (6 giorni) in cui il ritmo degli incontri fatti non ha niente che corrisponda al mio immaginario africano; i tempi non sono distesi e naturali e gli incontri intensi e rituali si susseguono senza pause di rielaborazione. Ciò che rimane impresso nella mia memoria sono soprattutto frammenti di ricordi legati alla sfera sensoriale. Odori, suoni, l’aria secca che ti soffia in viso come un asciugacapelli, i colori del deserto nel tramonto, il verde spento degli alberi contro il giallo rosso della terra arida, i colori vivaci dei vestiti delle donne, i sapori dei cibi gustati e soprattutto l’accoglienza e la cordialità della gente che abbiamo incontrato.
L’olfatto
Scendendo dall’aereo a Ouagadougou mi pare di essere arrivata a Nuova Delhi, lo stesso odore di smog pungente proveniente da combustibili poco «puliti» e che rendono l’aria pesante. L’aria pulita, quasi inodore, del deserto, ma che odore ha la sabbia? Il ricordo degli odori svanisce nella mia memoria pensando al Sahel.
L’udito
Spostandoci a Dori, la nostra meta principale, anche i rumori sembrano molto più attutiti in questa vasta cittadina del Sahel. La quasi totale assenza di auto (sarà solo un’amnesia?) e le moto che transitano occasionalmente rendono tutto l’ambiente più silenzioso. I momenti più rumorosi li viviamo infatti nelle stanze con aria condizionata, davanti all’albergo e nel nostro confortevole ma rumoroso pullman che ci scarrozza in giro da un intenso appuntamento all’altro. Nel silenzio delle sere si mescolano le nostre voci con quelle degli africani in un misto di lingue: italiano, francese e morè con il sottofondo «musicale» dei ventilatori. Negli incontri ufficiali con i rappresentanti musulmani rimango affascinata dal loro idioma, impossibile captare una parola, tanto meno un senso, ma la melodia della lingua mista ai gesti, rimane un ricordo musicale nelle mie orecchie. La corale della chiesa che sprigiona la sua vivacità negli inni accompagnati dai tamburi, mista con i gridolini di gioia delle donne, e infine la musica africana moderna che si sente nei chioschi per strada… ritmo, vivacità, allegria…
La vista
L’occhio gode questo viaggio nei suoi molteplici colori, nei vivaci contrasti, nei sorrisi delle persone che incontriamo formalmente o casualmente. I colori forti impregnano la retina e mettono allegria. Il verde rigoglioso di un orto ben annaffiato per la vicinanza di una fonte d’acqua, contro il giallo rossiccio della terra saheliana. Il sole al tramonto che rende la sabbia ancora più arancione, i vestiti multicolori delle donne ben curate, con capigliature fantasiose, foulard acconciati creativamente o con delle parrucche elaborate a festa per la messa della vigilia di Pasqua… L’eleganza traspare non solo dai vestiti e dalle acconciature, ma dal portamento stesso di queste persone.
Il gusto
Sapori di cibi semplici, la carne (pollo o montone) che sa ancora di carne e richiede una buona masticazione; gustose insalate con pomodori e cetrioli freschi – ma non ci avevano messo in guardia dal mangiare roba cruda per via del pericolo di epatite? – eppure erano cosi buone! Il pesce gigante del fiume, a Ouagadougou, preparato in modo così succulento che mi lecco i baffi ancora oggi. Le verdure quasi sempre fagiolini verdi.
Il tatto
Tante mani strette ovunque siamo andati, e che lasciano la sensazione di un tocco di una pelle ruvida, mani che lavorano, o giocano in stretto contatto con la terra, che si accontentano di poco, dell’essenziale. La polvere che rimane sulle nostre mani, che penetra dappertutto e rende le superfici ruvide.
Il calore
Circa 40 gradi di giorno, 30 di notte, un vento secco che ti avvolge come un asciugacapelli, il sole che picchia in testa attutito solo un po’ dal vento del deserto. Ma c’è soprattutto il calore umano dei nostri ospiti, negli incontri ufficiali e in quelli informali con i giovani, una grande cordialità che apre i cuori, sorrisi e battute umoristiche che alleggeriscono l’atmosfera. Il sorriso e la semplicità delle persone è ciò che mi si è impregnato di più in questo viaggio. Le storielle raccontate durante le trasferte dalle nostre espertissime guide François e Alain parlano di saggezza popolare e di aneddoti vissuti.
Lascio questa terra con la sensazione di aver vissuto una rete di contatti invisibili ma forti come la vita. Non pretendo di avere capito un paese in pochi giorni, ma sicuramente ne sono rimasta profondamente colpita e piacevolmente emozionata: è stato come togliere un velo per sbirciare un mondo sconosciuto ma fratello.
Perché le caprette scappano quando vedono un autobus
C’era una volta un asino, una pecora e una capretta che prendevano l’autobus per recarsi in un’altra città. Al momento di scendere, l’asino aveva solo un biglietto di 100 FBF (Franchi Burkina) per pagare e l’autista non poteva dargli il resto, così gli disse «te lo darò più tardi». Quando toccava alla pecora scendere, aveva i soldi contati. Quando invece toccava alla capretta scendere, non aveva i soldi, così disse all’autista: «te li darò più tardi», e scese velocemente. Da allora l’asino, quando vede un autobus, si pianta in mezzo alla strada e non si muove più, aspettando sempre il suo resto. La pecora invece va per la sua strada e non si cura dell’autobus. Mentre la capra, appena vede un bus, scappa velocemente, perché ha paura di dover pagare il tragitto. Questa storiella ci fu raccontata da François al ritorno per Oagadougou quando una capretta attraversò la strada correndo. (S.L.)