Ad un mese dall’alluvione in Romagna, Paolo Vignali di LVIA – Forlì nel mondo- ci riporta una testimonianza

Solo qualche ora prima dell’alluvione. Il tempo scorre lento e costante, mentre noi passiamo accanto alla quotidianità senza renderci conto dell’essenza della vita che si imbatte nel nostro sguardo. Attraversiamo le strade, i quartieri, e i nostri occhi osservano distratti quel che accade attorno: la persona in bicicletta, i vicini che chiacchierano appollaiati sulla rete di confine, qualcuno che siede esausto a bere nei bar, mille storie che tutti i giorni vediamo ma che sfilano veloci al passaggio dell’auto dove siamo rinchiusi nei nostri pensieri.  

In quei giorni di metà maggio le gocce cadono lente e costanti, finché la pioggia stessa non diventa sempre più insistente. L’acqua continua a scendere e ci sfida, ma la nostra incoscienza non ci fa provare paura.  

Le ore passano. Poi arriva il silenzio, le colline si sciolgono in mille frane, lo scricchiolio dei grandi fusti che si abbattono leggeri mette tensione, l’acqua trascina via alberi, strade, pietre. I fiumi diventano enormi e feroci, potenti. Divorano quel che incontrano e si fanno largo prepotenti dove decidono di stendersi. Hanno già perso la loro limpidezza e quel colore marrone (che ricorda certe divise militari in tempo di guerra) del quale si sono vestiti sembra voglia ribadire la loro rabbia. 

I boschi, le campagne, le strade tacciono. Oramai l’acqua ha raggiunto le prime case e non si fermerà, le sirene dei soccorritori si susseguono da tutto il giorno, frenetiche. E poi uno strano silenzio si diffonde per le vie e tutto attorno. Forse anche i suoni si fermano di fronte alla paura, rispettosi e attoniti nell’attesa che smetta di piovere, per comprendere tutta la desolazione che potremmo trovare al fine della temporale. Il grigiore del fango portato dallo straripamento copre ogni colore ammutolisce la città e le persone, sembra soffocare ogni forma di speranza e i ricordi.  

Il tempo passa. Presto i rumori ritornano ad udirsi impavidi, gli uccelli cantano perché è di nuovo mattino e con i suoni rinasciamo in noi stessi.    

Gli amici incominciano a cercarsi, a offrire aiuto. I volontari si armano di pale, scarponi e sorrisi, marciano verso i quartieri che hanno subito più danni,armati di speranza e di canti. “Romagna mia, Romagna in fiore…” risuona tra le strade coperte di limo e di polvere, dove la natura sembra morta, ma la vita riprenderà il suo corso e i suoi colori. Le voci prima disperate di chi ha perso tutto, ricordi, affetti, diventano chiacchiericcio, battute comiche per divorare la sofferenza. Si pensa al domani, a ripartire, ci si guarda attorno, le strade oramai sono barricate di fango e detriti, dove tra i cumuli di oggetti importanti si scorgono fotografie. Immagini di un tempo passato che con molta sofferenza chi vi era legato ha dovuto lasciare andare, impietrito dalla melma depositata. Al calare della notte lo stesso esercito che s’intrufolava tra le vie, sorridente ed energico, usciva da quelle strade, stanco e sporco di fango, ma col sorriso e orgoglioso del tempo passato con degli sconosciuti. Un esercito senza età, senza divise, con tanti ragazzi, di una generazione che la quotidianità fa scomparire in facili etichette, che ora portano fieri le loro pale in spalla.  

Dopo giorni, piano piano, i paesi riprendono il proprio ritmo. Rimangono le ferite, gli strascichi delle solite facili polemiche. Sicuramente saranno nate amicizie, forse qualche amore, certamente tanto lavoro per ripristinare i collegamenti e le abitudini. Le piante si scuotono le gocce di dosso e qualche ciuffo di quelle che chiamiamo erbacce, le più semplici, spunta, prepotente e rigoglioso, come a dimostrare che la forza che conserva in sé è più forte delle avversità che incontra, e si presenta con spavalderia contro la sorte. 

Ripercorrendo le strade con l’auto ancora si sente l’odore del fango. Credo che non lo dimenticherò, come non dimenticherò lo scricchiolio degli alberi enormi che cadono come fuscelli, il tonfo dei tronchi giganti che picchiano contro i pilastri dei ponti facendoli vibrare, gli occhi terrorizzati di una signora tremante nel panico, in una strada trasformata in fiume, che cercavo di tranquillizzare. Non vorrò dimenticare i sorrisi per sconfiggere la fatica e la stanchezza, la generosità delle persone che portavano conforto a chi era in prima linea (apparivano dal nulla con bevande e dolci per poi scomparire). Ma dentro alla mia automobile, rapito dai pensieri, penso a quando tutto questo accade in un mondo lontano dal mio, dove la forza della natura porta via anche la speranza a chi già non ha nulla. 

Posso solo immaginare, e questo mi basta a struggermi, chi deve affrontare in quei contesti così faticosi, difficoltà immense come alluvioni, siccità, malattie, crisi economiche e guerre che in un attimo spazzano anche il poco che si possiede, dove i ricordi e gli affetti si possono legare solo ai propri pensieri perché non c’è altro modo per trattenerli.  

Mi emoziona sempre la capacità umana di superare le difficoltà e trovare una nuova strada, illuminati dalla fiamma invincibile della speranza di vedere di nuovo la luce, di respirare aria pura, di lasciare alle spalle la tristezza e la paura. Così è la vita, un viaggio imprevedibile, fatto di luci e ombre, di paure e speranze, di lacrime e sorrisi, ma sempre in grado di sorprendere e meravigliare, di farci crescere e migliorare, di insegnarci qualcosa di nuovo ogni giorno. 

Forlì, giugno 2023 

Paolo Vignali