La testimonianza di LVIA dalla Guinea, uno dei paesi africani più colpiti e l’azione per contrastare le conseguenze dell’epidemia
Ottobre 2014
3.879 vittime è l’ultimo bilancio, fermo al 5 ottobre, divulgato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sull’epidemia di ebola; i casi di contagio sono 8.033. L’epidemia è contenuta in Nigeria e Senegal, mentre resta letale in Sierra Leone, Liberia e Guinea. I primi casi anche in Europa e USA. L’associazione LVIA opera in Guinea dal 2005; i suoi volontari sono rimasti nel Paese e danno la loro testimonianza. |
Valérie, 34 anni, di origini francesi, da tre anni lavora e vive in Guinea con LVIA come coordinatrice di progetti ambientali e agricoli e qui ha avuto, un anno fa, il suo primo figlio: «Da aprile a giugno, quando l’allarme Ebola è stato lanciato ed è scoppiata la paura, ho chiesto alla tata di non andare più a Mandina (il più grande mercato della capitale Conakry). Per il resto, la mia vita e quella di mio figlio non è stata stravolta. Ho deciso di non cambiare le nostre abitudini quotidiane. Credo che oggi la disinformazione sull’ebola stia creando una psicosi che avrà gravi effetti collaterali sulla società, l’economia e la salute delle popolazioni».
È vero, il mondo ha paura dell’Ebola. In questi ultimi mesi abbiamo assistito alla cancellazione dei voli aerei, alla chiusura delle frontiere, l’annullamento delle missioni, anche umanitarie, in Africa Occidentale. In Guinea, Paese tra i più colpiti dall’epidemia, la gente ha paura di andare in ospedale perché teme il contagio; l’OMS denuncia che le donne incinte stanno rinunciando alle cure mediche e ospedaliere.
Valérie continua il suo racconto: «I primi casi di ebola sono stati diagnosticati a dicembre 2013 ma i media in Guinea ne hanno dato notizia solo in marzo; tale comunicazione poi, anziché essere d’aiuto alla popolazione e informare sulle cause di contagio e le modalità di prevenzione, ha contribuito a diffondere la paura. In aprile è iniziata la psicosi. Ho visto dei commercianti portare mascherine; ristoranti mettere bacinelle all’ingresso affinché i clienti lavassero le suole delle scarpe; all’agenzia di Air France, le hostess hanno uno spray disinfettante a portata di mano per “pulire” i propri uffici. Oggi, i voli di Air France arrivano vuoti e ripartono pieni».
Eppure, il contagio da ebola, come si legge sul sito del Ministero della Salute Italiano, non avviene facilmente. Non tramite l’aria. Per essere infettati dal virus bisogna toccare i liquidi corporei di un malato che già mostra i sintomi visibili della malattia. E tali liquidi devono entrare in contatto con le nostre mucose, degli occhi o della bocca. L’igiene di base, e il semplice uso del sapone, è il primo modo per bloccare il virus.
Come si spiega allora una propagazione così incontrollata di un virus tanto debole da non sopravvivere al contatto con il sapone?
Federico vive e lavora in Guinea, con l’ong CISV per un progetto in partenariato con LVIA. Ci risponde: «La malattia è andata ad affliggere uno dei Paesi più poveri al mondo, dove un’emergenza di tale rilievo non si può affrontare. Cronica la mancanza di farmaci, posti letto, personale formato. In Africa, ciò che ha trasformato una malattia difficile da contrarre in un’emergenza internazionale sono le usanze funebri: per un occidentale, la cerimonia funebre in Guinea è affascinante e incomprensibile; centinaia di presenti, riuniti in casa del defunto, che passano davanti al feretro per toccarlo; la tradizione esige il lavaggio del morto, eseguito dai familiari del defunto, prima della sepoltura e che il corpo torni al villaggio natio, percorrendo chilometri. Sfortunatamente, si tratta proprio di ciò che va evitato, essendo il contatto con il cadavere tra le principali cause di trasmissione del virus Ebola. Il corpo va anzi bruciato rapidamente, usanza qui sconosciuta».
Alessandro Bobba, presidente di LVIA, monitora costantemente la situazione in Guinea e denuncia le conseguenze sociali ed economiche di questa epidemia, che prospettano una situazione molto difficile per il futuro: «Senza una capillare azione sociale d’informazione, città per città, villaggio per villaggio, la popolazione continuerà ad agire senza consapevolezza di ciò che può evitare, o aumentare, la possibilità di contagio. Altro aspetto importante riguarda le ripercussioni dell’epidemia su un’economia già molto debole (e poco sostenuta dagli aiuti internazionali). La chiusura delle frontiere, la conseguente difficoltà negli scambi commerciali, l’assenza dei contadini dai campi per la paura del contagio, han fatto si che si stia verificando una scarsità di beni alimentari nel Paese e una conseguente impennata dei prezzi, in particolare dei prodotti agricoli. Si prospetta quindi un periodo, già praticamente iniziato, di crisi alimentare ed economica, che oggi è difficile prevedere in termini di ulteriori perdite di vite umane, specialmente nelle fasce vulnerabili (bambini, anziani, malati, ecc.)».
Nei prossimi mesi LVIA rafforzerà le sue attività in Guinea, paese fortemente colpito dal virus Ebola. La malattia, oltre a minare la salute delle persone, sta minando il già fragile sistema sociale ed economico del Paese. L’azione di LVIA vedrà il supporto alla produzione agricola nelle aree rurali, dove le conseguenze dell’Ebola stanno peggiorando la situazione di povertà di migliaia di famiglie.
Dal 15 al 26 ottobre 2014 è in corso la Settimana dell’Alimentazione: una serie di eventi promossi da LVIA per parlare di alimentazione e diritto al cibo nel nord e sud del mondo.
Tra gli eventi, il 25 e 26 ottobre in numerose piazze saranno allestiti banchetti di mele del territorio cuneese certificate biologiche e di alta qualità, messe a disposizione da Assortofrutta tramite la sua associata Ortofruit Italia.
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Articolo pubblicato dal settimanale La Guida, venerdì 21 ottobre 2014.
Autore: Lia Curcio