UN PIANO PER CHI NEL SUD DEL MONDO NON SCAPPA DAVANTI AL CORONAVIRUS

Avvenire_18 marzo 2020
La pandemia da corona virus ci tocca ormai tutti e in tutti i paesi del mondo.
Tanti volontari LVIA hanno scelto per ora di restare sul campo.
E’ necessario “un piano per chi nel Sud del mondo non scappa davanti al Coronavirus”: vi invitiamo a leggere la lettera del presidente FOCSIV, Gianfranco Cattai, al direttore di Avvenire e la risposta di quest’ultimo, qui riportate.
Gianfranco Cattai Presidente Focsiv

Caro direttore,
ascoltiamo da diversi giorni il richiamo da parte dei rappresentanti istituzionali, dei personaggi dello spettacolo e dello sport oltre ai mezzi di informazione a essere responsabili e rimanere a casa. Un richiamo che non è per tutti. È evidente che in Italia medici, infermieri, volontari del settore socio–sanitario sono chiamati a rispondere a questa emergenza in prima linea. A Brescia, per esempio, i medici dell’Ong Medicus Mundi sono impegnati dal primo giorno e alcuni sono stati infettati. Ma sul fronte ci sono anche altri. Ci sono anche i volontari internazionali che hanno scelto di impegnarsi a favore degli ultimi, dei più vulnerabili nei Paesi impoveriti.

Sarebbe troppo facile asserire che sia opportuno che tutti questi debbano rientrare nel loro Paese, l’Italia, fintanto che saranno ancora disponibili i voli aerei internazionali. Il punto è che se ciascuno di loro ha deciso a suo tempo di lasciare la propria comunità di appartenenza per compiere un servizio per il bene comune di una comunità più ampia e in un altro luogo, sarebbe surreale pensare che possano abbandonare oggi con cuor leggero i loro impegni. Anzi.

Ai problemi della fame e della denutrizione, delle disuguaglianze, della mancanza di giustizia, della salute, dell’accaparramento delle terre, si aggiunge ora anche quello di questo virus che ci prende alla sprovvista a livello mondiale. Quello che responsabilmente i quadri apicali delle Ong piuttosto che quelli dei centri missionari o degli istituti missionari stessi devono discernere con i propri operatori è lo scegliere, con un profondo senso di responsabilità, il non abbandonare, nell’immediato, gli impegni che tutti noi insieme abbiamo assunto per il bene delle singole comunità dei Paesi impoveriti.

Eppure, se i nostri per il momento possono o meglio devono rimanere là ove operano, nel caso l’emergenza si acuisse ulteriormente dovrebbero poter rimpatriare. Su questo punto uso un detto: e qui cade l’asino! Varie le questioni sul piatto: da una parte da molti Paesi non partono più dei voli di linea per l’Europa e l’Italia, dall’altra le compagnie assicuratrici dichiarano che non possono operare con propri voli a causa dei vincoli determinati dai singoli Stati di partenza e arrivo. Infine, ma è la cosa più importante, l’abbiamo sperimentata storicamente, non è ancora emersa la linea operativa del Ministero degli Affari Esteri circa i piani di evacuazione.

Incredibile, ma vero. Questa situazione del coronavirus ci pone in uno scenario inedito. Ma una soluzione va trovata e cercata con ostinazione se non vogliamo abdicare di fronte ai princìpi della cooperazione e solidarietà internazionale. Soluzione che necessita di creatività, di unire le forze e di stretta collaborazione tra le nostre associazioni e lo Stato Italiano.

Proprio dalle situazioni di crisi possono nascere modalità per nuove forme di collaborazione. Il nostro Paese, l’Italia, non può rinunciare e lasciare soli gli operatori che stanno in prima linea come ambasciatori della solidarietà di tanti cittadini italiani e le associazioni che con loro sono impegnate.

Marco Tarquinio, Avvenire, 18 marzo 2020

È importante e giusto, caro presidente Cattai, ricordare in modo così vivido e preciso il ruolo che anche in questo frangente durissimo per la vita del mondo e delle nostre società viene svolto dai volontari della cooperazione internazionale e dai costruttori laici e religiosi di reti di solidarietà tra Nord e Sud del mondo. Uomini e donne che oltre a spendersi per lo sviluppo umano delle popolazioni dei Paesi in cui operano, aiutano tutti noi a concepire la Terra come «casa comune» e a lavorare perché sia davvero così.
Tanti di questi volontari sono italiani. E sono motivati e coraggiosi, ma non scriteriati. La questione che viene posta in questa lettera è seria, e sono certo che il governo la sta prendendo in altrettanto seria considerazione. So che oggi alla Farnesina si terrà, con le modalità che l’emergenza consente, e presieduta dalla viceministra con delega alla Cooperazione internazionale Emanuela Del Re, una riunione dedicata anche alla questione, in caso di aggravamento della crisi da coronavirus, dell’eventuale rientro d’emergenza in patria di questi nostri speciali “ambasciatori”, i cooperatori delle Ong solidali. Sono convinto che insieme riuscirete a trovare l’indispensabile soluzione utile.